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Trento, lunedì 23 marzo 2015
Trento, 23 marzo 2015 Sono tante le cose che mi hanno colpito leggendo e anche sfogliando le belle immagini molto chiarificatrici del prezioso libro del professor Scaglione, una sintesi molto efficace della sua idea di urbanistica, di territorio conservato, valorizzato ma anche innovato, di paesaggio. Un libro che porta la sua impronta, la sua regia, il suo segno riconoscibile ma che è anche un racconto a più mani, una narrazione diffusa, articolata e complessa. Unno sguardo plurale dove ogni tessera del mosaico dei differenti contributi, ogni visione va a ricomporsi in un quadro armonico e di immediata comprensione. Alcune parole chiave meritano a mio avviso particolare attenzione. Tra queste sicuramente il concetto, che condivido pienamente, di un territorio da interrogare, così come il paesaggio e la natura in genere. Credo anche io, ne sono convinta, che il territorio ci parli. A noi il compito dunque di affinare i sensi (la vista, l'ascolto tra tutti), l'attenzione e una sensibilità crescente che ci permetta di riconoscere i saperi pregressi di chi è venuto prima di noi e di coltivarli con un occhio rivolto al futuro, non nostalgico ma capace di apprezzare, rispettare, conservare quanto di buono le generazioni che ci hanno preceduto hanno saputo fare, quanto pesante oppure leggera è stata l'impronta ecologica che hanno lasciato, quanto la cultura di una forte interazione col proprio ambito di vita ci può ancora insegnare. A noi il compito di guardare al futuro interpellando i giovani e confrontandoci con le loro competenze e visioni, lasciandoli liberi di sperimentare, di immaginare. A noi la capacità affinata di riconoscere la bellezza e anche di pretenderla, di esigerla e quello di riconoscere le criticità, la disarmonia, il brutto e di porvi rimedio. Senza accontentarci, senza rassegnarci. E quando parlo di noi penso alle persone, ai singoli cittadini, alle associazioni ambientaliste, ai politici, alle istituzioni. Sono molto convinta del fatto che pur lasciando ad ognuno le proprie competenze e confrontandoci da non addetti ai lavori con la dovuta umiltà, l'urbanistica, intesa come diritto alla qualità della vita nelle città e nei paesi, dell'abitare, del muoversi, del verde da mantenere e implementare debba diventare sempre più un patrimonio condiviso, un bene comune. Il metodo, altra parola chiave, che questo libro evidenzia, per approcciare al proprio territorio e alle sue forme, non è statico ma dinamico, in movimento, vitale, libero da condizionamenti, curioso, attivo, multiplo perché si avvale dell'apporto di tanti. E' un metodo interlocutorio, non concorrenziale ma all'insegna della sussidiarietà e della condivisone. Di una sintesi possibile. Il libro racconta dei primi quattro anni del lavoro didattico e di ricerca nel Corso di Urbanistica e paesaggio dell'Università di Ingegneria di Trento. E lo fa superando anche gli schemi forse non più sufficienti del tutto sostenibile, del tutto green, delle sole buone pratiche, dei soli buoni propositi, della sola buona edilizia, includendo il tema de possibile ritorno al ruolo guida dei sistemi naturali quando si va definire la qualità urbana e architettonica di un sistema sensibile al paesaggio. Altro tema fondante è la difesa del suolo, il no al consumo di territorio risorsa preziosa e non infinita. Come l'aria, come l'acqua. Salvatore Settis nel suo libro “Paesaggio e costituzione” del 2010 dice. “ Rassegnati ormai alle devastazioni che ci feriscono ogni giorno rifiutiamo di vedere quello che vediamo: che l'anomalia sta diventando la regola, che l'eccezione si sta trasformando in un modello unico di sviluppo. Che il costruito sta mangiandosi città e campagna, che intere generazioni di italiani non hanno più una loro geografia interiore, nessun paesaggio armonioso da ricordare, nulla su cui fantasticare. La città orizzontale, diffusa e dispersa, si sparge come una colata lavica inghiottendo l'antica campagna e lasciando tra casa e casa un infinità di segmenti interstiziali e frammenti non più utilizzabili. Zona grigia che corrisponde allo spazio dell'indecisione e dell'insicurezza”. Quest'anno 2015, non a caso, è stato decretato dall'Onu “Anno del suolo”, risorsa non rinnovabile di cui disporre con saggezza e lungimiranza. E per finire il tema della lentezza tanto caro ad Alex Langer, ricordate? Più lento, più soave, profondo. Cosi dovrebbe essere il nostro stare su questa terra. Una lentezza applicata ad un'idea di ricomposizione del rapporto tra natura e insediamenti. Una lentezza, quella del professor Scaglione, amica dell'ambiente e dentro la natura, leggera e sostenibile. Slow, ci dice Pino Scaglione è sinonimo di buono, di qualità, di raro e gustoso, di intelligente e attento per definizione. Perciò Slow city è un progetto di città dove si ravvede un'etica rinnovata del vivere e dove il passaggio successivo è proprio quello delle Cities in Nature, paradigma di una condizione urbana e ambientale ricca di bio-diversità, sostenibilità, integrazione sociale e qualità diffusa. Lucia Coppola
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